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Intervista Musei di Roma
Come nasce il tuo il tuo nome d'arte?
Mi chiamo Lorena Tiberi, ma il mio nome d'arte è Mani. Mi è stato suggerito da mio padre circa una decina di anni fa, quando iniziai a scolpire.
Il tuo primo approccio con l'arte è stato la scultura?
Sì, esattamente.
Come è avvenuto?
E’ una storia un po’ particolare. All’inizio dei miei studi ho fatto i primi due anni allo psicopedagogico, un indirizzo suggerito dai miei genitori, che però non mi interessava tanto, non mi sentivo stimolata da quel tipo di studio. Ho fatto quindi un cambio di liceo al terzo anno. Per mia scelta dissi ai miei genitori che avrei fatto gli esami ma sarei andata poi al liceo artistico.
Eri attratta dall’arte?
Sì, in realtà ho sempre disegnato, però chiaramente quando sei piccola non sei pienamente conscia di quello che fai. Cioè, era per me un piacere e basta, inteso proprio come piacere. Quindi andai al liceo artistico, al liceo Ripetta. Presi le discipline plastiche e pittoriche come indirizzo, quindi belle arti.
Come ti sei trovata?
Diciamo che lo shock principale fu quello della scultura, devo essere sincera. Grazie anche a un professore meraviglioso che incontrai, il professor Dottorini. Iniziai come tutti quanti, poi mi appassionai talmente tanto durante il primo anno di liceo che iniziai a produrre più di quanto dovuto.
Che tipo di materiale usavi?
Terracotta. E poi lavoravamo anche un po' la cera.
Cosa è accaduto poi?
Il professore vide in me una grande passione e mi incoraggiò a fare un concorso nazionale di scultura. Grazie alla vittoria di questo concorso, la mia scultura andò a Castel di Sangro. Grazie alla vittoria fui notata da un gallerista a Berlino, che mi invitò a fare una residenza artistica li una volta finito gli studi era il 2016
Quale galleria era?
La Fellini Gallerie di Kreuzberg.
Tutto ha avuto inizio con la scultura…
Sì, il primo approccio decisamente è stata la scultura, tecnica che richiede grande manualità, e proprio per questo i miei genitori, cioè mio padre notando questa capacità manuale elogiava le mie mani, quindi alla fine divenni Mani.
Adesso invece hai trasferito questa ricerca, ovvero il tuo sviluppo artistico, in un ambito diverso, o hai continuato con la scultura?
Contestualmente alla scultura ho appreso le tecniche del disegno in modo quasi ossessivo, tanto che a un certo punto iniziai a praticare solo quello. Quindi iniziai ad alleggerire il mio disegno, e lo trasformai anche in maniera pittorica, in qualcosa di più personale, la pittura è una grandissima passione, chiaramente, insieme alla scultura.
Ti affascina la materia?
Moltissimo, è la base imprescindibile di ogni mia creazione.
Vi è un approccio più materico?
Sì, è il peso delle cose, il peso dei corpi, il peso anche del colore, che è interessante. Studiando Kandinsky ho appreso la potenza del colore, che non sempre c'è in scultura.
Adesso fai un'arte pittorica, astratta o figurativa?
In questo momento sto sviluppando il mio lavoro, che è iniziato da un po'. Ha avuto inizio da un'esperienza che feci nell'estate del 2022, una residenza artistica sull'isola di Filicudi di un mese, nella quale dipinsi per la prima volta in astratto. Sentivo che la figura era diventata troppo pesante, una sorta di gabbia per me. Il soggetto soprattutto all'interno del quadro era diventata proprio pesante, quindi feci tabula rasa. Mi concentrai sul sentirmi all'interno di un contesto straordinario, un contesto naturale, e tramite quelle sensazioni decisi di resettarmi.
Cosa è accaduto?
Ho sperimentato il non figurativo. Ci fu uno studio diverso. Quando il soggetto è altro da quello che è conoscibile e riconoscibile dall'occhio, diventa un'esperienza multisensoriale, diventa uno spazio. Tu crei uno spazio e decidi che tipo di spazio può essere, uno spazio che nasce da un tuo sentimento, chiaramente momentaneo di quella cosa. Feci la prima serie di astratti, cinque tele, la serie “Planton”. Tornata a Roma continuai questo filone del non figurativo e lo sviluppai in modo diverso, chiaramente la città ha un diverso tipo di energia. Feci “Plasma”, Roma, e le cose che si stanno evolvendo adesso, con una nuova potenza che la città emana...
Quando presenti un quadro astratto, ti aspetti una risposta dall'osservatore o gli stimoli un'emozione che poi affonda comunque nel suo vissuto?
Assolutamente la seconda, io suggerisco un certo tipo di emozione tramite il colore, tramite il tipo di vibrazione, il tipo di movimento che c'è all'interno. La suggerisco però poi si allaccia alle diverse sensibilità, quindi ognuno interpreta e sente in modo diverso.
Il tuo lavoro si realizza attraverso una tecnica fatta di ripetizione, di stratificazione all’interno di una ricerca, o è più di impatto? Cioè quando esprimi qualcosa hai già l'idea di quello che vuoi fare?
No, no, non c'è idea, c'è bisogno di esprimersi, c'è una sorta di energia, di volontà di tirar fuori un certo tipo di sensazioni. Mi considero un filtro più che altro.
Quindi nel tuo vivere in qualche modo assorbi l'ambiente, l'emozioni che poi trasferisci sulla tela, ma hai mai avuto il panico dalla tela bianca?
No, mai, anche perché non guardo proprio la tela quando non voglio dipingere. Quando mi accorgo che non sono pronta per dipingere continuo ad allenare la mano, a fare le mie ricerche personali, ad acculturarmi, a riempire un po' il mio bagaglio, sia esperienziale che tecnico. Anche interagendo con la società, che è importantissimo, sono un essere molto sociale, molto intimista ma molto sociale.
Se dovessi dare un colore ai nostri tempi quale colore daresti?
Tra il viola e il verde, direi.
Il viola è violento, è forte come colore…
Sì, è abbastanza buio, però è misterioso e intrigante e il verde è qualcosa che invece sta prendendo luce, prende potenza, prende saggezza.
La pareidolia nell’ambito dell'arte astratta, ovvero questa necessità della mente umana di dare un significato alle forme, è in qualche modo un limite per l'artista che vuole liberarsi?
Assolutamente sì, chiaramente il dare significato è importantissimo. Penso che ogni tipo di gesto creativo abbia il proprio significato, non rappresenta in modo esplicito qualche tipo di tema ricorrente, perché forse nemmeno io lo comprendo nel momento in cui creo qualcosa, dipingo qualcosa, scolpisco qualcosa, disegno qualcosa o faccio qualcosa, ma anche la performance per me è un atto estremamente liberatorio e creativo.
La performance artistica in presenza di spettatori ti dà più energia?
Assolutamente sì. Tu non sai dove stai andando, ti ispiri al momento, è un'improvvisazione preparata. Come nella pittura io mi preparo dei colori che sento siano quelli giusti in quel momento, poi però quando li metto su tela, il modo in cui li amalgamo e li faccio dialogare, quello è un momento improvvisato, quello è istintivo, non risponde a nessun tipo di algoritmo.
Che tipo di materiali utilizzi?
In questo momento sono molto interessata a quello che è naturale, quindi alla terra, al pigmento, oppure al marmo per la scultura, sia il legno che la creta.
Cosa cerchi nell'arte? Un'idea di bellezza?
Cerco di portare avanti un discorso di ricerca legata all'idea di un'armonia che sia interna a me come persona che esterna al mondo.
L'arte può essere un viatico per l'umanità per raggiungere una propria serenità?
Credo proprio di sì.
Come artista ti poni un po' questo obiettivo di diffondere questa bellezza che possa accomunare gli spiriti?
Sì, diciamo che parte da un'indagine, una ricerca personale, quindi in primis per me stessa, e poi chiaramente mettendola a disposizione del mondo e cerco di calamitare le energie che dialogano bene con quello che faccio, che sono io anche.
Quando capisci che quello che stai realizzando è finito?
Nel momento in cui aggiungere qualsiasi cosa sarebbe devastarlo perché c'è un momento di estrema equilibrio che si raggiunge anche a livello proprio di occhio.
Guardandolo, distanziandomene un attimo, c'è una sorta di bilanciamento perfetto che potrebbe essere fatto anche con le prime cinque pennellate, ne bastano cinque se quello è definitivo, o ne servono di più aggiungendo anche un puntino, una pennellata più libera, con qualcosa di più contenuto, studiato, analizzato. Un altro soggetto, quindi molto istintuale. Istintuale ma anche molto ragionata.
Il ragionamento avviene prima però…
Avviene dopo. Avviene nel mentre in realtà. Hai la produzione del tuo inconscio e poi dici, ah quello era.
Nel mentre avviene una doppia cosa, la gestualità e la libertà, nel senso che nel gesto esprimo quella forza della pennellata, che magari è in diagonale, ascendente, discendente, in qualche modo rappresenta un'espressione tua propria.
Cosa pensi dell’intelligenza artificiale applicata al campo artistico? La consideri una opportunità o una minaccia?
Difficile a dirsi, è un momento di confusione. Ma io in realtà sono molto interessata all'intelligenza artificiale.
Incuriosita o interessata?
Interessata in quanto mi sto facendo delle domande su come poterla utilizzare per farle dialogare con l'arte umana, con l'opera d'arte creata unitariamente dall'uomo. In realtà, secondo me, ci sarà sempre qualcosa che l'intelligenza artificiale non potrà fare. E sarà lì che ci sarà la chiave di svolta dell'arte in generale.
Altri artisti la utilizzano?
In questo momento molti artisti vedo che stanno collaborando con l'intelligenza artificiale creando appunto shock visivi. Shock sul lavoro dei sensi per quanto riguarda l'interazione con lo spettatore della propria opera. Si cerca di fare qualcosa che è creato dall'uomo ma che attraverso l'intelligenza artificiale acquisti una seconda vita,
Cioè?
Mi sto facendo delle domande, sono molto legata alla materia, e questo è importantissimo. Ma, per esempio, prendiamo i colori magari l'intelligenza artificiale ce li può portare sul piano uditivo, ipotizzo. Quindi in realtà la vedo come una minaccia, ma la vedo anche come una possibilità. Un'opportunità che va ben utilizzata.
Adesso sei in una fase di ricerca nuova?
In questo momento sono tornata un po' sulla scultura. Ancora non è uscito niente, non ho pubblicato niente, perché ci sto ancora lavorando. Ho anche nuovi progetti pittorici che mi stanno riportando un po' alla figuratività.
La figuratività?
Sì, la figuratività. Dopo due anni in cui ho sempre dipinto non figurativo, sto cercando di far sì che vi sia un'ulteriore liberazione, non sia di nuovo l'incastro della facilità di comprensione.
Ti ha in qualche modo fatto sentire in gabbia la figuratività?
Molto. Però c'è anche una bellezza nei volumi della figura umana. Io sono una grande amante della figura umana. Però è proprio il piacere del fare, nell'estremo piacere con il quale io faccio una forma con il colore, che sia fine a sé stessa o che acquisti una propria anima, fa sì che rappresenti qualcosa e sia uno strumento di comprensione e abbia la piena dignità della forma in sé.
In questo momento storico vi è una società frammentata, egocentrica, egoriferita. Tu condividi questo punto di vista, lo hai mai espresso nei tuoi lavori?
Beh, sicuramente sì, credo che sì, ci sia una sempre una più forte individualizzazione, di chiusura.
Io credo che l'arte sia uno strumento di condivisione molto potente, di unione molto potente, di comunicazione anche molto potente. Quindi spero che ci sia un ritorno, e che questa chiusura porti poi a uno switch, a un cambio di direzione, perché noi siamo animali sociali, quindi c'è bisogno di vicinanza, c'è bisogno di calore, di cura, di amore, c'è bisogno di congiungimento.